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Concorso Pianistico "Città di Scarperia" - Intervista al M° Nuti
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Intervista al M° Nutia cura del Direttore Artistico del Concorso, Silvia Carletti Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il tuo percorso formativo, in quale periodo della tua vita e perché? Io non ho studiato con tanti insegnanti, oggi è di moda, cominciando anche molto presto, con i ragazzi più dotati a differenza di 40 anni fa. L'idea prevalente è quella di riuscire a studiare con molti insegnanti per ricevere fin da molto presto una pluralità di vedute. Prima il rapporto con l'insegnante era assolutamente univoco, non si poteva mettere in discussione Adesso c'è molta più apertura mentale, esagerata, secondo me, nel senso che c'era del vero nel dire che in un percorso di formazione prima bisogna mettere alcune basi, quando poi un individuo ha raggiunto un certo grado di maturità può evolversi come individuo. Oggi c'è anche minor possessività da parte degli insegnanti e questa è una cosa sana. Avere una pluralità di vedute aiuta a non essere vittima di un percorso che non ammette critiche. Ma può portare anche un po' di dispersione e confusione Per tornare a me io ho studiato fondamentalmente con 2 insegnanti, uno fino al diploma, Antonio Bacchelli, e uno dopo il diploma, Franco Scala. Il resto, l'evoluzione personale è stata rielaborazione, passata anche molto dall'ascolto in particolare di pianisti dal vivo, cosa che raccomando a tutti i miei allievi. |
Passando dallo studio alla carriera vera e propria... Ci sono stati dei momenti determinanti per la tua carriera? Quali?
Per ragioni personali io non sono mai stato un agonista, ho vinto dei concorsi senza averci investito troppo e ho cominciato ad insegnare molto presto. Quindi le esperienze più interessanti della mia carriera sono state quelle fuori dal conservatorio, le masterclass all'estero, in particolare a Mosca. Mi piace fare lezione nella lingua del posto perché stabilisce un contatto diretto con l’allievo e posso far lezione in 5 lingue diverse, russo compreso.
Dal punto di vista performativo l'incisione del concerto di Barber con l'orchestra della RAI, per me ha rappresentato un momento di grande soddisfazione e la realizzazione di un progetto molto importante. Il disco è stato recensito benissimo anche in America ma qui in Italia il minimo indispensabile, infatti non sono mai riuscito a suonarlo con un'orchestra italiana a causa delle programmazioni artistiche sempre molto conservatrici.
Parliamo ora di decisioni importanti. Ci sono decisioni collegate a occasioni importanti che hanno aiutato a non perdere l'orientamento o ci sono stati momenti in cui ti sei chiesto se stavi facendo la scelta o la carriera sbagliata? Ho perso un'occasione, avrei voluto un'occasione...
Per procurarsi e sfruttare le occasioni ci vuole una certa vocazione all'autopromozione, molti non ce l'hanno, me compreso, perché il senso della serietà, dell'autovalutazione diventa frenante se non addirittura castrante.
Io come insegnante mi trovo ad essere molto molto positivo nella valutazione di una performance di un allievo, molto di più di quanto non sia l'allievo stesso. Mi trovo spesso a parlare di individualità, di confronto positivo con sé stessi e con gli altri.
Quella del musicista è una specie di vocazione, di chiamata. Questo è quello che siamo, così comunichiamo con il mondo, è il nostro modo di esprimerci, non si può farne a meno. Va benissimo studiare, tantissimo a casa, ma lo scopo non è lo studio per lo studio, noi diamo vita ad un testo che è nato 200, 300 anni fa, un codice e lo facciamo vivere ma sulla sensibilità emotiva di qualcuno che lo accolga. Si vive nel momento dello scambio, con il pubblico. bisogna uscire, confrontarsi, scegliere l’insegnante, la scuola e su cosa investire delle proprie capacità. Bisogna capire e centrare qual è il nostro posto di musicisti. Bisogna conoscersi.
Cosa consigli ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Costanza, continuità ma soprattutto SERENITA'. Mantenersi in un rapporto di sorriso, amichevole, amorevole con sé stessi e lo studio dello strumento sarebbe importate per fare un percorso sano e proficuo.
La parola che vorrei inserire in questa chiacchierata è “COMODO” , è una parola che mi faccio insegnare in tutte le lingue…..Devi starci comodo al piano, anche fisicamente ma soprattutto emotivamente, devi sentirti a tuo agio. L'altra parola importante è “LIBERO”. Bisogna ricordarsi che il pianoforte, la musica, sono il nostro rapporto con il mondo, il nostro vissuto personale entra in questo rapporto. Quindi convogliare tutto nel fare musica riempie la vita.
Quindi, adesso che so suonare il pianoforte, che cosa me ne faccio?
Il percorso accademico finisce ormai abbastanza tardi, intorno ai 26 anni e quel momento è davvero difficile, bisogna cominciare a prepararlo in anticipo. Oggi come oggi moltissimi pianisti, musicisti hanno capito che per creare movimento bisogna diventare organizzatori, avere un'associazione possibilmente in grado di ricevere fondi pubblici o privati. Il musicista deve essere un promotore, deve conoscere le amministrazioni, la burocrazia, le leggi…..
Quindi diventare PROATTIVO è il seguito delle parole chiave usate fin qui dopo COMODO e LIBERO: diventare cioè propositivi e attivi anche se faticoso può essere la chiave per realizzarsi, trovando poi delle collaborazioni e fare un team con controparti “giuste”.
Certo, bilanciare la vita privata, la vita organizzativa pubblica e la vita di artista in continuo miglioramento è una cosa difficile da realizzare però molte persone riescono a farlo. Tutto questo non esclude l'insegnamento. Tutt'altro…nessuno ti insegna ad insegnare, si passa dalla propria esperienza, cominciando a capire che insegnare agli altri ti insegna anche molte cose su te stesso e ti fa crescere anche come performer.
Che senso hanno oggi i concorsi pianistici? Qual è stata la loro evoluzione? Che senso ha oggi fare un concorso a 8 anni, a 16 anni, alla fine di un percorso didattico, al di là delle borse di studio?
Fermo restando che nessuno dovrebbe andare ad un concorso con l'ambizione di vincerlo. Le aspettative vanno messe in secondo piano rispetto alla serietà del proprio lavoro, questa è imprescindibile. Dopodiché uno deve avere il piacere di offrire il prodotto del proprio lavoro. il solo farsi ascoltare e sapere che il tuo lavoro sarà ascoltato da persone competenti è una molla essenziale per salire di qualità, quindi fare questa scelta con orgoglio, presentarla a persone che saranno in grado di apprezzarla e se non l'apprezzano mi diranno perché, non è cosa da poco, non capita tutti i giorni. Ai concorsi che facevo quarant'anni fa, mi facevo un sacco di amici che ancora ho perché c'era un senso di solidarietà e di condivisione delle difficoltà che a casa o con il tuo insegnante non potevi avere. Condivisione delle stesse difficoltà, delle stesse speranze, degli stessi desideri che era di grandissimo conforto. Si impara tanto anche ascoltando gli altri DAL VIVO; anche sentire coetanei nelle tue stesse condizioni, capire che qualità di suono esiste, come stanno sullo strumento, come respirano, che stile hanno…. Questo non è sostituibile da nient'altro...
Infine, il concorso è una manifestazione esterna ed il valore è maggiore rispetto ai saggi, per esempio, ti mette in condizione di cercare una qualità di livello superiore. La lezione settimanale, seppur importante, non ti crea lo stesso tipo di aspettativa. Qualcuno vive il concorso con molto stress la pressione è superiore ma in senso positivo e non in senso di vittoria o sconfitta.
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